Come avrei potuto non andare a Dachau? Situata a circa quindici km da Monaco di Baviera, potrebbe essere una cittadina sconosciuta ai più se non fosse per tutto quello che ancora oggi evoca il suo nome, associato a quell'universo di dolore e di morte che furono i campi di concentramento. Perciò non potevo non andarci. Scendendo dalla S-bahn con mio figlio Gabriele, l’indicazione"Konzentrazionlager" ci suggerisce il bus da prendere per raggiungere il campo. Penso che di lì a poco avrei raggiunto quel triste luogo della memoria. KZ-gedenkstaette-Dachau…quale sgradevole sensazione alla vista di quel cartello segnaletico: ripenso a quei treni che iniziavano a rallentare, allo stridio penetrante, acuto, alla frenata improvvisa che portava tante persone inconsapevoli e innocenti verso l’abisso. Lungo il sentiero erboso e un susseguirsi di alberi,niente fa presagire la presenza del lager, ma ecco apparire improvvisamente le torrette di guardia, la recinzione,con quel filo spinato un tempo attraversato dalla corrente ad alta tensione e l’orrendo cancello su cui campeggia la scritta infame e beffarda “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Mi trovo nel Jourhaus, l’edificio di guardia del comandante del campo, l’ingresso del campo per gli internati…E’ tutto più vero del vero. Con il cuore stretto dall'emozione, anch’io stavo varcando quell’oscuro e pesante cancello.Ma il 29 aprile 1945, quando gli americani lo aprirono scoprendo quell’abisso di orrori, Bartolomeo Meloni era purtroppo deceduto ormai da quasi un anno.
C’è tanto silenzio qui. La giornata è grigia, autunnale, tutto è avvolto da una sottile nebbia. Davanti a noi si apre un’immensa estensione pianeggiante, più grande di quanto potessi immaginare: è l’Appelplatz, il piazzale dell’Appello, dove i prigionieri venivano radunati sia all’alba che di sera, sfiniti dal lavoro, per essere contati. Tenuti in piedi immobili anche per ore. Esposti alle più dure intemperie, neve, gelo, vento o sotto il sole più cocente, chiunque poteva facilmente essere duramente punito, o anche perdere la vita, qualora vacillasse a causa della debolezza, o perché anziano o malato. Quei fragili disperati, privati della dignità e dei loro sogni, erano al centro dei miei pensieri: camminavo in quello stesso piazzale in cui migliaia di esseri umani avevano vissuto momenti drammatici, luogo di morte di migliaia di derelitti che avevano scontato sulla propria pelle la bestialità umana.Testimoni silenziosi di quella tragedia immane gli alti pioppi del viale. La ghiaia risuonava sotto i nostri passi mentre ci accostavamo al monumento del Memoriale: eretto nel 2003, ricorda tutti coloro che qui hanno trovato la morte. Si tratta di una monumentale stele di marmo grigio, su cui è incisa una frase che esorta a non dimenticare i caduti di Dachau, affinché non si ripeta più un simile genocidio. La frase è tradotta in quatto lingue, francese, inglese, tedesco e greco, per essere comprensibile dal maggior numero di visitatori. Strano, manca l’italiano, eppure gli Italiani registrati a Dachau, molti dei quali morirono durante la detenzione, furono oltre diecimila. Il Museo è costituito da un susseguirsi di varie stanze nelle quali sono esposte alcune gigantografie sulla vita del campo: panoramiche aeree, vedute esterne delle baracche. Tante le immagini dei poveri prigionieri su cui l'ultimo degli aguzzini aveva diritto di vita o di morte. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” ha scritto Primo Levi. All’interno delle baracche i detenuti subivano continue vessazioni: non potevano riposarsi nemmeno nelle baracche: durante il poco tempo libero a disposizione dovevano “fare i letti”, lavare le stoviglie, pulire gli armadietti e, soprattutto, tirare a lucido il pavimento. Queste disposizioni igieniche quanto mai vessatorie fornivano facilmente il pretesto per maltrattamenti e punizioni draconiane. (..continua)
Storia del campoIl campo di Dachau era destinato in origine ad accogliere circa seimila prigionieri, ma arrivò a contenerne un numero esorbitante, infatti i soldati che lo liberarono contarono 31.432 persone, più altre 36.246 presenti nei vari sottocampi e distaccamenti; non si conoscono, però, né il numero di quelli che prima dell'arrivo degli alleati furono smistati con marce forzate verso Mauthausen e Buchenwald, né il numero preciso dei morti di questo lager, cui si attribuisce il triste primato di durata, circa dodici anni, e di insopportabilità del regime di detenzione. Comunque l’anagrafe del campo ha registrato circa 45.000 decessi, ma questa cifra è di certo irrisoria di fronte a quella realtà così tragica. Qualche settimana dopo l'ascesa al potere di Hitler, il 21 marzo del 1933 sul giornale "Muenchner Neuesten Nachrichten" apparve questa notizia: "Mercoledì, 22 marzo 1933, verrà aperto nelle vicinanze di Dachau, il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo tedesco e secondo il suo desiderio. Heinrich Himmler -Presidente della Polizia della città di Monaco-"
Così, presso una vecchia fabbrica di munizioni, costruita durante la prima guerra mondiale e situata in una zona piuttosto paludosa, dal clima nebbioso e umido, il "Terzo Reich" istituì il primo campo di concentramento con lo scopo di "rieducare" i detenuti alle idee naziste. Quando le SS assunsero il controllo del campo di concentramento di Dachau, Theodor Eicke, secondo comandante del campo, mise a punto un sistema di controllo e di dominio sul lager da parte delle SS che sarebbe servito da modello per tutti i campi di concentramento fino al termine della guerra. Il “modello Dachau” servì ad affermare il ruolo dei campi come strumento permanente di terrore politico e a rafforzare la forte rivendicazione di potere da parte delle SS. Nei primi anni della dittatura fu il più grande e il più noto dei campi di concentramento, e il suo nome divenne ben presto sinonimo di paura e terrore in tutta la Germania: dal 1933 al 1939 nel campo di Dachau furono rinchiusi gli oppositori tedeschi del nazismo: comunisti, socialdemocratici, sindacalisti, Testimoni di Geova, giornalisti e religiosi che non approvavano le idee naziste, ma anche ebrei. Durissime fin dall’inizio, le condizioni di vita dei detenuti peggiorarono ulteriormente a partire dal 1936: i maltrattamenti da parte delle guardie SS aumentarono e venne sistematizzato lo sfruttamento della forza lavoro dei prigionieri. Nel 1937 iniziarono i lavori di ampliamento del Lager, destinato a contenere migliaia di uomini per lo più addetti a lavori inutili di grande fatica. Con l’inizio del conflitto (settembre 1939) le condizioni di vita dei detenuti peggiorarono radicalmente. Il primo forno crematorio fu installato nel 1940 e da quel momento nel lager cominciarono ad essere eliminati in massa i detenuti “indesiderati” (ebrei, polacchi, prigionieri di guerra sovietici e persone inabili al lavoro). Le azioni omicide raggiunsero il culmine dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica nel 1941; inoltre nelle baracche del Revier (infermeria) fu aperta una sezione dove i medici della Luftwaffe utilizzarono i detenuti del campo di concentramento come cavie per esperimenti medici che, si sapeva, avrebbero causato inaudite sofferenze e anche la morte. Durante l'estate e l'autunno del 1944 in tutta la Germania meridionale, sotto l'amministrazione del complesso di Dachau, vennero creati dei sottocampi vicino alle fabbriche di armamenti con lo scopo di incrementare la produzione bellica. Soltanto nei pressi di Dachau stesso esistevano trenta grandi campi satellite dove più di 30.000 prigionieri furono impiegati quasi esclusivamente nella produzione di materiale bellico. Migliaia di loro morirono per le condizioni disumane in cui furono costretti a lavorare. Molti venivano riportati indietro, stipati nei blocchi dell’infermeria e successivamente uccisi per mezzo di iniezioni o deportati nei campi di sterminio. Nel 1942 la fame e il sempre più diffuso terrore esercitato dalle SS peggiorarono drasticamente le condizioni di vita dei detenuti provocando un drammatico aumento della mortalità. Fino al 1942 le nazionalità maggiormente rappresentate nel campo di concentramento di Dachau erano quella polacca, quella tedesca e quella cèca. Durante l’estate del 1942 iniziarono ad arrivare numerosi detenuti sovietici e jugoslavi, e a partire dal 1943 aumentarono anche le presenze di francesi, olandesi, belgi e italiani. Dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, nell’estate del 1944 la Gestapo sgombrò i campi allestiti in Francia, Belgio e Olanda e ne trasferì i detenuti a Dachau e in altri campi di concentramento del Reich. Vi furono internati, inoltre, anche abitanti di Varsavia, oppositori tedeschi, ebrei ungheresi e lituani (questi ultimi nei campi esterni di Kaufering e Mühldorf). Tra i deportati c’erano anche dei bambini e, a partire dall’estate del 1944, anche delle donne, che furono inviate nei campi esterni. Le condizioni di vita dei vari gruppi di detenuti dipendevano dalla loro posizione nella scala gerarchica stabilita dalle SS. “In alto” si trovavano i detenuti tedeschi,“in basso” i detenuti ebrei, sovietici e italiani, le cui possibilità di sopravvivenza non fecero che diminuire. Nella seconda metà della guerra, l’economia tedesca iniziò a dipendere sempre di più dal lavoro forzato anche dei detenuti dei campi di concentramento. Considerata la sempre maggior carenza di operai nell’industria bellica, a partire dal 1942 le SS iniziarono a sfruttare la forza lavoro dei detenuti in modo sempre più intensivo e sistematico. Aziende come la BMW, la Messerschmitt o la Zeppelin iniziarono a “noleggiare” detenuti e a sistemarli in campi esterni appositamente allestiti nelle vicinanze delle fabbriche. Il campo di concentramento di Dachau diventò un centro di raccolta e di distribuzione che provvedeva al rifornimento di nuovi schiavi e al rimpiazzo dei detenuti che non erano più in grado di lavorare. Nel 1944 il numero dei detenuti a Dachau e nei suoi campi esterni salì rapidamente a causa delle deportazioni di massa dai Paesi occupati, ma soprattutto per l’arrivo di 40.000 ebrei provenienti dai campi situati all’Est. La stragrande maggioranza dei circa 100.000 detenuti che giunsero a Dachau tra il 1944 e il 1945 venne impiegata nei suoi campi esterni. Le condizioni di vita e di sopravvivenza nei singoli campi differivano notevolmente da caso a caso. Il campo principale (Stammlager) diventò così sempre di più un centro di smistamento: i detenuti abili al lavoro venivano trasferiti nei campi esterni, mentre i malati e i moribondi venivano riportati indietro e uccisi o abbandonati al loro destino. Il regime, inoltre, utilizzò sempre più spesso il lager di Dachau come luogo di esecuzioni. Diverse centinaia di combattenti appartenenti ai movimenti di resistenza e di avversari politici vennero portati a Dachau solo per essere eliminati. Nonostante tutto ciò, i detenuti seppero dar vita a strutture di mutua assistenza, di autoaffermazione culturale e perfino di resistenza. Alla fine del 1944 la situazione dei più di 60.000 detenuti del campo di concentramento di Dachau peggiorò in modo drammatico: le catastrofiche condizioni igieniche e le sempre più scarse razioni alimentari provocarono lo scoppio di un’epidemia di tifo nel campo principale che fece più di 15.000 vittime. Molte altre migliaia di detenuti morirono inoltre nel corso delle “marce della morte” cui vennero costretti dalle SS nell’aprile del 1945. Per impedire che poco prima della fine della guerra le SS potessero compiere ulteriori azioni di liquidazione, i rappresentanti dei vari gruppi nazionali diedero clandestinamente vita a un comitato direttivo internazionale, che a partire dal 29 aprile del 1945, giorno in cui arrivarono gli americani, si incaricò anche di organizzare la vita nel lager e di assicurare la sopravvivenza dei detenuti.
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