tag:blogger.com,1999:blog-30991677605021418232024-03-13T00:15:34.142-07:00Momenti della MemoriaMomenti della Memoria: per ricordare le vittime del nazifascismo,i popoli oppressi, perseguitati,le persone che hanno perso la vita a causa del loro pensiero, etnia, origine, religione,sesso, o per altre ragioni discriminatorie inaccettabili in uno Stato democratico modernoRita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.comBlogger14125tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-89147373433435926752013-12-09T10:16:00.000-08:002013-12-09T10:16:10.484-08:00Esequie di Renzo Biondo<h1 class="viewTitolo">
<span style="font-size: small;">Celebrate a Ca' Farsetti le esequie di Renzo Biondo, ex partigiano e presidente onorario dell'Iveser</span></h1>
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Tanta gente, questa mattina, nel salone al pianoterra di Ca' Farsetti, per l'ultimo saluto all'ex partigiano e presidente onorario dell'Iveser ('Istituto veneziano per la storia della Resistenza), Renzo Biondo. Presenti, in rappresentanza dell'Amministrazione comunale, il presidente del Consiglio, Roberto Turetta, e l'assessore Tiziana Agostini, che ha ricordato nel suo intervento la figura di Biondo sia come partigiano che come cittadino attivo in ambito sociale, culturale e politico.<br /> Nato nel 1926 a Treviso, ma trasferitosi quasi subito a Venezia, Biondo si era avvicinato giovanissimo, dopo l'8 settembre 1943, agli ambienti antifascisti, partecipando in città anche ad alcune azioni prima di essere arrestato e detenuto per qualche tempo in carcere. Nella primavera del 1944 la scelta poi di riparare in montagna, nella zona della Val Cellina, nella Brigata "Ippolito Nievo", col nome di battaglia di “Boscolo”. Nel dopoguerra, nonostante il suo impegno come avvocato civilista, Biondo è rimasto sempre vicino al mondo partigiano, dirigendo tra l'altro il quindicinale "Vento di montagna" e poi, una volta uscito dall'Anpi, fondando, assieme a Ferruccio Parri, la Fiap (Federazione italiana associazioni partigiane), nella quale ha continuato il suo impegno sino alla fine. E' stato anche tra i fondatori dell'Iveser, di cui era stato nominato presidente onorario.<br />Venezia, 9 dicembre 2013 </div>
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<img alt="Celebrate a Ca' Farsetti le esequie di Renzo Biondo, ex partigiano e presidente onorario dell'Iveser" class="viewImg" height="387" id="img-52a6039e0062a" src="http://www.comune.venezia.it/flex/images/a/f/5/D.e00dd86c83fac3d06d70/1209esequie1o.jpg" width="600" /></div>
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<img alt="Celebrate a Ca' Farsetti le esequie di Renzo Biondo, ex partigiano e presidente onorario dell'Iveser" class="viewImg" height="399" id="img-52a6039e00a1b" src="http://www.comune.venezia.it/flex/images/9/9/d/D.1a23394ba2e6cae45242/1209esequie2o.jpg" width="600" /></div>
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Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-69687861758492860602013-04-28T02:43:00.001-07:002013-04-28T11:11:40.321-07:00Celebrazione del 25 aprile 201325 aprile 2013 Santu Lussurgiu <br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVRc8TRrYNqyCzCRqF_JufyYKY6TObZLeQtIfTvZDk8ApnM1SrDghoSQXpHZmE5rPf5-LaAN0L5htLLfHtIn1RwZftuQFV6Ery2pNL_yDHmhORLZnEUwn8i-q-zpYIeMfmk4jgWKnxU3M/s1600/liberta-2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVRc8TRrYNqyCzCRqF_JufyYKY6TObZLeQtIfTvZDk8ApnM1SrDghoSQXpHZmE5rPf5-LaAN0L5htLLfHtIn1RwZftuQFV6Ery2pNL_yDHmhORLZnEUwn8i-q-zpYIeMfmk4jgWKnxU3M/s320/liberta-2.jpg" width="320" /></a></div>
<a href="http://lanuovasardegna.gelocal.it/oristano/cronaca/2013/04/25/news/la-consulta-ricorda-bartolomeo-meloni-1.6950237">http://lanuovasardegna.gelocal.it/oristano/cronaca/2013/04/25/news/la-consulta-ricorda-bartolomeo-meloni-1.6950237</a><br />
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<span style="color: #134f5c;">Il partigiano "Boscolo", uomo impegnato da sempre a celebrare i valori della Resistenza, ha conosciuto personalmente Bartolomeo Meloni.</span> <a href="http://www.artemodernapordenone.it/eventi/pizzinato-e-la-resistenza-1943-45">http://www.artemodernapordenone.it/eventi/pizzinato-e-la-resistenza-1943-45</a>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-28409147761880635752012-02-19T04:18:00.000-08:002012-02-19T04:18:52.583-08:00Quanti Giove e quanti Mercurio nella vita di ogni donna!Domani, 20 febbraio, è il penultimo giorno dei Parentalia e a mezzogiorno si aprono le porte dei templi. Iniziano i Feralia, festa religiosa sacra a Giove, il cui secondo nome è Feretrius. E' consuetudine che una vecchia segga tra le ragazze e faccia dei sortilegi per placare la musa silente, che non può parlare. Alle nove tradizionali Muse,infatti, i Romani ne aggiunsero una decima, assai particolare poiché, essendo le Muse “divinità della comunicazione poetica”, invitate a cantare,raccontare o ballare, quella di Roma è un musa muta,silenziosa, il suo nome è infatti “Tacita”. Il suo culto è indubbiamente molto romano poiché nell’Urbe il riserbo e la scarsa loquacità erano tenuti molto in considerazione, ossia il silenzio e la riservatezza. Alle nove tradizionali Muse i romani, infatti, ne hanno aggiunta una decima. Molto particolare, perché se le Muse "sono le divinità della comunicazione poetica", invitate a cantare o a raccontare, quella di Roma è una Musa muta anzi una "Musa che - invece di sostenere la voce dell'uomo - la zittisce". Il suo nome è infatti Tacita. Il culto di Tacita è "molto romano " perché nell'Urbe "il riserbo e la scarsa loquacità sono tenuti in grande considerazione" e quindi il silenzio e la riservatezza. <br />
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Tacita Muta e la parola negata<br />
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Ovidio nei Fasti narra la storia dolorosa di una sfortunata ninfa, Lara (o Lala, dal greco “laleo” parlare). La povera ninfa fu duramente punita dal padre degli dei, poiché rivelò a sua sorella Giuturna i sentimenti che il dio nutriva per lei, salvandola dalle voglie del seduttore Giove. Il dio, preso dall’ira le strappò la lingua, cambiò il suo nome in Tacita Muta e l’affidò a Mercurio perché l’accompagnasse nel regno dei morti. Le disavventure della ninfa non finirono qui. Durante il viaggio Mercurio approfittò di lei che, privata della parola, fu privata anche del diritto di gridare, di difendersi e di denunciare la violenza subita. Il potere della parola le era stato negato per sempre. Da questo stupro nacquero i gemelli Lari protettori della casa romana. <br />
Zittita e violentata… due divinità crudeli nel destino di dolore di Lala. <br />
Ancora una donna e il potere degli uomini… <br />
<br />
"Abbattiamo il silenzio”. Le donne decidono di non fermarsi - Questo lo slogan di un movimento che l'anno scorso si proponeva di esortare le donne a non abbandonare le proteste e a continuare a rivendicare i propri diritti senza nascondersi per paura di essere isolate o punite. Rita ArcaRita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-64152642334811030002012-01-23T17:07:00.000-08:002012-01-24T09:18:13.730-08:00MOMENTI DELLA MEMORIA 2012<i>MOMENTI DELLA MEMORIA 2012<br />
LICEO SCIENTIFICO STATALE “Mariano IV” di Oristano - MOMENTI DELLA MEMORIA - <br />
Nell’ambito della commemorazione della Giornata della Memoria, il giorno 24/01/2012, nell’Aula Magna del liceo Scientifico "Mariano IV d'Arborea", dalle ore 11.15 fino al termine delle attività previste, si terrà la rappresentazione teatrale dal titolo "Il y a là cendre", messa in scena dalla compagnia teatrale RIVERRUN TEATRO di Cagliari e liberamente tratta dal libro di memorie "La notte" di Elie Wiesel (sopravvissuto alla Shoah, premio Nobel per la pace nel 1986).<br />
Alla celebrazione, organizzata dalla prof.ssa Arca con la collaborazione del prof. Pilia Stefano, parteciperanno le classi:<br />
1^C, accompagnata dal prof. Cara;<br />
2^C, accompagnata dal prof. Tomasi;<br />
5^C, accompagnata dalla prof.ssa Zanda;<br />
3^B, accompagnata dal prof. Pilia S.;<br />
4^B, accompagnata dalla prof.ssa Flore;<br />
5^B. accompagnata dal prof. Solinas;<br />
5^D, accompagnata dalla prof.ssa Cera.<br />
Gli studenti sono pregati di recarsi in Aula Magna alle ore 11.10.<br />
Dopo lo spettacolo si terrà un dibattito. Seguirà la visione del video "La fabbrica dello sterminio" e un breve un omaggio alla tradizione ebraica con canti yiddish, ebraici e musica per la Shoah.</i><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwseiSic-LkXQ1j2n9JhjaLTUYWLiqxIaEuZ2HztY9Vz7rxB0f5bqSoPRBOQdcnxQSxypgdxrq-3KPZxFjEcyEuW4b0O9M6Ye2waOwe_pYq1sjLcdnMAYjswcgrl0_gfbeJu06eCmz8IE/s1600/wiesel1.jpg" imageanchor="1" style="clear:left; float:left;margin-right:1em; margin-bottom:1em"><img border="0" height="234" width="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwseiSic-LkXQ1j2n9JhjaLTUYWLiqxIaEuZ2HztY9Vz7rxB0f5bqSoPRBOQdcnxQSxypgdxrq-3KPZxFjEcyEuW4b0O9M6Ye2waOwe_pYq1sjLcdnMAYjswcgrl0_gfbeJu06eCmz8IE/s320/wiesel1.jpg" /></a></div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgagdMTCkGOcaKOM2b6kKMBLV1ftITlsu7Jka6C3n34g7Ihk6Ek7g_C8ZsAoActNbH8RVDWWhuFHyV-y54jystX9hIxKf-tgyhBv0Yd_kRzcA-rHKlcnec1cT0UwzyO8HP1QOZcpXhChVU/s1600/8810832.jpg" imageanchor="1" style="clear:left; float:left;margin-right:1em; margin-bottom:1em"><img border="0" height="209" width="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgagdMTCkGOcaKOM2b6kKMBLV1ftITlsu7Jka6C3n34g7Ihk6Ek7g_C8ZsAoActNbH8RVDWWhuFHyV-y54jystX9hIxKf-tgyhBv0Yd_kRzcA-rHKlcnec1cT0UwzyO8HP1QOZcpXhChVU/s320/8810832.jpg" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuBPo1PDVUTWqzaZVdTOhi-u__vna5Us6d3fw60Ras-pvgX6y_b-ODykWT-rYg8TnlyfdNaN5lrtAPSu368FWiBIwcwzYVcAbUbczCs4ZY9ckdDFPZmA8gAIw9_wfTMxC5Er4dP1WL9XA/s1600/Lorenzo+Mori+001.JPG" imageanchor="1" style="clear:left; float:left;margin-right:1em; margin-bottom:1em"><img border="0" height="240" width="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuBPo1PDVUTWqzaZVdTOhi-u__vna5Us6d3fw60Ras-pvgX6y_b-ODykWT-rYg8TnlyfdNaN5lrtAPSu368FWiBIwcwzYVcAbUbczCs4ZY9ckdDFPZmA8gAIw9_wfTMxC5Er4dP1WL9XA/s320/Lorenzo+Mori+001.JPG" /></a></div><br />
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.Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-11875971609283522612011-11-23T07:58:00.000-08:002012-09-01T12:51:32.575-07:00Visita al ghetto ebraico di Venezia<a href="http://www.liceoscientifico-or.it/ls3/index.php?option=com_content&view=article&id=169&Itemid=116">http://www.liceoscientifico-or.it/ls3/index.php?option=com_content&view=article&id=169&Itemid=116</a><a href="http://http//www.liceoscientifico-or.it/ls3/index.php?option=com_content&view=article&id=169&Itemid=116"></a>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-68499032577519868582011-10-15T18:28:00.000-07:002011-10-16T03:59:55.237-07:0016 ottobre 1943 - La razzia nel ghetto di Roma<iframe id="yd" src="http://www.youdem.tv/v/206043" width="400" height="320" frameborder="0" scrolling="no" allowtransparency="true"></iframe><br />
Di seguito l'interessantissimo racconto di Anna Foa:<br />
<a href="http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-6058fde1-bd96-4134-9e38-a029cd283cd8.html">Audio Rai.TV - Tre colori - Anna Foa racconta 16 ottobre 1943: la razzia nel ghetto di Roma</a>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-57096714857203427662011-02-07T14:45:00.000-08:002011-02-25T13:15:14.367-08:00Momenti della Memoria - 22 febbraio 2011<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg69MqPtvpv6WIgVhcwiKzmOV3nrfmRQ1hHRdqSP2HE1HqUGORMgTEFQbwWK5dODT2egYkAEzH2DeHE1O5Ua7pkJnsXCo_xdlJewNfM7fi36qVSQ7oqfRjJwWilD1jHKf3wLlwUsVQ7_Dw/s1600/DSCF1296.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" l6="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg69MqPtvpv6WIgVhcwiKzmOV3nrfmRQ1hHRdqSP2HE1HqUGORMgTEFQbwWK5dODT2egYkAEzH2DeHE1O5Ua7pkJnsXCo_xdlJewNfM7fi36qVSQ7oqfRjJwWilD1jHKf3wLlwUsVQ7_Dw/s320/DSCF1296.JPG" width="320" /></a></div><span style="color: blue;">In occasione della “Giorno del ricordo”, nell'aula magna del Liceo Scientifico "Mariano IV" di Oristano, il 22 febbraio 2011, alle ore 11.30, ci sarà un incontro-conferenza con Marisa Brugna, istriana d’origine e algherese d’adozione, autrice del volume dal titolo “Memoria negata”.</span><br />
<span style="color: blue;">Il programma prevede:</span><br />
<span style="color: blue;">- saluto del Dirigente;</span><br />
<span style="color: blue;">- proiezione di alcuni documentari sulla situazione storica, le foibe e l’esodo dalle zone istriano-dalmate (con riferimenti alle cause che lo determinarono e di cui furono vittime cittadini per lo più di origine italiana);</span><br />
<span style="color: blue;">- incontro-dibattito con la sig.ra Marisa Brugna, attiva testimone dell'esodo. Lettura di alcuni passi del libro.</span><br />
<span style="color: blue;">- visione di alcune foto relative alle foibe e al monumento nazionale di Basovizza (Trieste).</span><br />
<span style="color: blue;"><br />
</span><br />
<span style="color: blue;">Docente referente: Rita Arca</span><br />
<img border="0" h5="true" height="238" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5KUKAlB0Ofcf4QDNSPDmvbR1MCTmc8V58nKjf_P4aPj29ugrkc4SXNJJsNLpO8FbsAxbpogylNOhjdQvEaiKosYfSYZdpLi-kZSYVf7q37s4ruOM57x9jKc5iqVT33o9dEkcjLNugcFo/s320/Francobollo_2007_-_Borgata_Giuliana_di_Fertilia.jpg" width="320" /> <span style="color: blue;">"MEMORIA NEGATA"- CRESCERE IN UN CENTRO RACCOLTA PROFUGHI PER ESULI GIULIANI"</span><br />
<span style="color: blue;">di Marisa Brugna </span><br />
<br />
<span style="color: blue;">A distanza di tanti anni alcuni fatti che hanno segnato la vita di una persona si ripresentano prepotentemente e si hanno visioni nitide di luoghi e persone che si pensavano ormai sepolti nei propri ricordi; è un affiorare spesso doloroso, fatto di privazioni, di distacchi dalla terra natìa e da un dialetto che risuona nel proprio cuore ormai svuotato di sorrisi e speranze.</span><br />
<span style="color: blue;">È quello che hanno provato gli esuli istriani, fiumani e dalmati sparsi in decine di campi profughi nel nostro Paese alla fine del secondo conflitto mondiale; ma è soprattutto quello che hanno provato i più piccoli strappati ai loro giuochi, ai loro luoghi d'origine.</span><br />
<span style="color: blue;">Non a caso si può parlare di infanzia negata e tutti coloro che oggi hanno superato gli "anta" ritornano, con la memoria, a quelle baracche e filo spinato che li vide giovinetti crescere e diventare donne e uomini.</span><br />
<span style="color: blue;">Quella facoltà di ricordare luoghi, persone e avvenimenti che Marisa Brugna non ha voluto relegare nel proprio intimo ma, altresì, ha voluto che diventasse un libro che dovrebbe trovare posto nei corsi di storia quale compendio dei testi scolastici privi di questo tassello di memoria.</span><br />
<span style="color: blue;"><br />
</span><br />
<span style="color: blue;">L'autrice, nata ad Orsera, abbandonò il borgo di pescatori nel 1947 e, come migliaia di istriani, fiumani e dalmati, prese la strada di un Centro Raccolta Profughi dove visse per oltre dieci anni; nel 1959 giunse a Fertilia.</span><br />
<span style="color: blue;">"Memoria negata" è un libro da leggere tutto d'un fiato e che non deve rimanere circoscritto ai soli circoli della diaspora anzi, deve diventare uno stimolo affinché tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il dramma dell'esodo tramandino ai loro figli l'amore per la loro terra d'origine rivolgendo alle nuove generazioni quell'appassionata sollecitazione che si può leggere nella postfazione del volume: "che no' i se desmenteghi de aver anche sangue istrian nele vene".</span><br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPiEIy59IvENLntC-qvIzAIXsNlEyKb-Ao6wOOB0elpkIBagPnEeuSt1rCIhRVaFhF-Tcx1zRd0Ram6EE-Hz_qUMu2CGCxOJvIFOVOWohlA1EbKWyrh0olac6cUlHJYPl27l9za7_JS6o/s1600/10_Febbraio_IL_GIORNO_DEL_RICORDO.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" h5="true" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPiEIy59IvENLntC-qvIzAIXsNlEyKb-Ao6wOOB0elpkIBagPnEeuSt1rCIhRVaFhF-Tcx1zRd0Ram6EE-Hz_qUMu2CGCxOJvIFOVOWohlA1EbKWyrh0olac6cUlHJYPl27l9za7_JS6o/s320/10_Febbraio_IL_GIORNO_DEL_RICORDO.jpg" width="228" /></a>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-83714912160000993672011-01-27T17:42:00.000-08:002011-03-12T11:33:53.443-08:00MOMENTI DELLA MEMORIA 2011LICEO SCIENTIFICO STATALE “Mariano IV” -OR- MOMENTI DELLA MEMORIA - <br />
27 gennaio 2011<br />
<br />
Teatro “Garau” –Oristano- ore 11.00 – L’ISFOR di Or, in collaborazione con “Il crogiuolo”di Cagliari, presenta lo spettacolo dal titolo “Ricordo di Maria A. Testimonianze da nazismo e olocausto”, di e con Mario Faticoni e Rita Arzeri. Saranno proposti brani tratti dalle opere di B.Brecht, Primo Levi, Lia Levi, Browning, Schwarz, Etty Illesum e altri. <br />
<br />
28 gennaio 2011- Aula Magna del Liceo –ore 11.15- In collaborazione con la libreria Mondadori di Oristano, incontro con Marco Palmieri, giornalista e storico, in occasione dell'uscita del libro “Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia: Diari e lettere 1938-1945”, di M.Avagliano e Marco Palmieri, ed. Einaudi. Durante l’incontro, che sarà preceduto da un omaggio* alla tradizione ebraica con canti yiddish, ebraici e musica per la shoah, un gruppo di alunni leggerà una selezione di brani tratta dal libro. <br />
* Tanti momenti per la Memoria<br />
<br />
22 febbraio 2011-Aula Magna-ore 11.30-incontro con l’autrice del libro “Memoria negata”, Marisa Brugna, che spiegherà agli alunni cosa ha significato per lei crescere in un centro-raccolta profughi per esuli giuliani. <br />
(Progetto coordinato da Rita Arca)<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjj6dUUmxIzPEgeBzztm7ykyEVPj1hEjIAhIMC0I_NDGVDdtmRQKqKuAIZ1IirYv2Moezmd9MHdOI9T-haGERgsACS3zeLPON0rgH1vlpT6DYqUTTSrSRXve6EBmPHxtNEI3hu0FUGA4fc/s1600/163838_500187964508_362928489508_5855623_3934526_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" s5="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjj6dUUmxIzPEgeBzztm7ykyEVPj1hEjIAhIMC0I_NDGVDdtmRQKqKuAIZ1IirYv2Moezmd9MHdOI9T-haGERgsACS3zeLPON0rgH1vlpT6DYqUTTSrSRXve6EBmPHxtNEI3hu0FUGA4fc/s320/163838_500187964508_362928489508_5855623_3934526_n.jpg" width="238" /></a></div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4hTy384uAx16I_4X5K-ecetVWnJPDW7S-ve_O097kz6i3VXGSaWar5W1R6wTYRCVn7WvxzJUINx5scny_Fya-RyANo5bmRMY3tpGKY7ADirTW_s_3P3AC05g4pP1thkUjH5MqLIcFSDs/s1600/auschwitz.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" s5="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4hTy384uAx16I_4X5K-ecetVWnJPDW7S-ve_O097kz6i3VXGSaWar5W1R6wTYRCVn7WvxzJUINx5scny_Fya-RyANo5bmRMY3tpGKY7ADirTW_s_3P3AC05g4pP1thkUjH5MqLIcFSDs/s320/auschwitz.jpg" width="240" /></a></div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8GyhvOnRIgzWKRpxFatIHOrN8nIk9M3x3Zhc1zNKJrHsyNThB7CPWUzMiEhzxtr4QrIUmfcod3sixGikbwsxXjQaem-usdJGjWLv8grGSiJqCTt1vSP7IDszdA09-zkomEWTw0l3C7-4/s1600/spettacolo-giorno-della-memoria-piacenza_large.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" s5="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8GyhvOnRIgzWKRpxFatIHOrN8nIk9M3x3Zhc1zNKJrHsyNThB7CPWUzMiEhzxtr4QrIUmfcod3sixGikbwsxXjQaem-usdJGjWLv8grGSiJqCTt1vSP7IDszdA09-zkomEWTw0l3C7-4/s320/spettacolo-giorno-della-memoria-piacenza_large.jpg" width="320" /></a></div><br />
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.Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-23215414825668806532010-12-01T15:18:00.000-08:002011-10-15T18:20:50.782-07:00L'Unione Sarda - Martedì 30 novembre 2010Cronaca di Oristano <br />
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Liceo scientifico Oggi un'assemblea sull'Olocausto <br />
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I ragazzi del liceo Scientifico a confronto sull'Olocausto grazie anche al racconto di uno dei sopravvissuti alle deportazioni dei Nazisti nei campi di sterminio durante la seconda guerra mondiale. Oggi alle 11 l'ingegnere Nando Tagliacozzo parlerà alle classi dell'ultimo anno nell'ambito del progetto “Momenti della Memoria”, coordinato da Rita Arca. Membro della comunità ebraica di Roma, da più di 10 anni Tagliacozzo incontra studenti in tutta Italia per raccontare la storia della deportazione, nei campi di sterminio, della sua famiglia e degli altri ebrei romani. Una testimonianza lucida e ricca di ricordi, un modo per tutti di comprendere a pieno il significato della parola libertà. «Un'iniziativa molto importante che si inserisce a pieno titolo nell'offerta formativa dell'istituto - afferma il dirigente Luigi Roselli - che oltre a trasmettere sapere e competenze, intende aiutare i giovani ad acquisire una coscienza critica». ( c. c. )Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-30762901996743280032010-10-24T09:39:00.000-07:002010-11-14T12:20:09.642-08:00I pioppi di Dachau (di Rita Arca)<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><img border="0" height="240" px="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPujKe7RneGT4aC0o8YZE6v42ttvdGbVt0JR3WbP8J0zsF46sVPDyU9fNzAN_jdsheWXcXuDMBT0UZtDclbk-WRhmrmxeIQxVZiOgO0R4MY8XwijCWkvUDVy9YiCybMATlqvQvfuvY0j0/s320/Centrale_web.jpg" width="320" /> Come avrei potuto non andare a Dachau? Situata a circa quindici km da Monaco di Baviera, potrebbe essere una cittadina sconosciuta ai più se non fosse per tutto quello che ancora oggi evoca il suo nome, associato a quell'universo di dolore e di morte che furono i campi di concentramento. Perciò non potevo non andarci. Scendendo dalla S-bahn con mio figlio Gabriele, l’indicazione"Konzentrazionlager" ci suggerisce il bus da prendere per raggiungere il campo. Penso che di lì a poco avrei raggiunto quel triste luogo della memoria. KZ-gedenkstaette-Dachau…quale sgradevole sensazione alla vista di quel cartello segnaletico: ripenso a quei treni che iniziavano a rallentare, allo stridio penetrante, acuto, alla frenata improvvisa che portava tante persone inconsapevoli e innocenti verso l’abisso. Lungo il sentiero erboso e un susseguirsi di alberi,niente fa presagire la presenza del lager, ma ecco apparire improvvisamente le torrette di guardia, la recinzione,con quel filo spinato un tempo attraversato dalla corrente ad alta tensione e l’orrendo cancello su cui campeggia la scritta infame e beffarda “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Mi trovo nel Jourhaus, l’edificio di guardia del comandante del campo, l’ingresso del campo per gli internati…E’ tutto più vero del vero. Con il cuore stretto dall'emozione, anch’io stavo varcando quell’oscuro e pesante cancello.Ma il 29 aprile 1945, quando gli americani lo aprirono scoprendo quell’abisso di orrori, Bartolomeo Meloni era purtroppo deceduto ormai da quasi un anno. </div><div style="text-align: justify;">C’è tanto silenzio qui. La giornata è grigia, autunnale, tutto è avvolto da una sottile nebbia. Davanti a noi si apre un’immensa estensione pianeggiante, più grande di quanto potessi immaginare: è l’Appelplatz, il piazzale dell’Appello, dove i prigionieri venivano radunati sia all’alba che di sera, sfiniti dal lavoro, per essere contati. Tenuti in piedi immobili anche per ore. Esposti alle più dure intemperie, neve, gelo, vento o sotto il sole più cocente, chiunque poteva facilmente essere duramente punito, o anche perdere la vita, qualora vacillasse a causa della debolezza, o perché anziano o malato. Quei fragili disperati, privati della dignità e dei loro sogni, erano al centro dei miei pensieri: camminavo in quello stesso piazzale in cui migliaia di esseri umani avevano vissuto momenti drammatici, luogo di morte di migliaia di derelitti che avevano scontato sulla propria pelle la bestialità umana.Testimoni silenziosi di quella tragedia immane gli alti pioppi del viale. La ghiaia risuonava sotto i nostri passi mentre ci accostavamo al monumento del Memoriale: eretto nel 2003, ricorda tutti coloro che qui hanno trovato la morte. Si tratta di una monumentale stele di marmo grigio, su cui è incisa una frase che esorta a non dimenticare i caduti di Dachau, affinché non si ripeta più un simile genocidio. La frase è tradotta in quatto lingue, francese, inglese, tedesco e greco, per essere comprensibile dal maggior numero di visitatori. Strano, manca l’italiano, eppure gli Italiani registrati a Dachau, molti dei quali morirono durante la detenzione, furono oltre diecimila. Il Museo è costituito da un susseguirsi di varie stanze nelle quali sono esposte alcune gigantografie sulla vita del campo: panoramiche aeree, vedute esterne delle baracche. Tante le immagini dei poveri prigionieri su cui l'ultimo degli aguzzini aveva diritto di vita o di morte. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” ha scritto Primo Levi. All’interno delle baracche i detenuti subivano continue vessazioni: non potevano riposarsi nemmeno nelle baracche: durante il poco tempo libero a disposizione dovevano “fare i letti”, lavare le stoviglie, pulire gli armadietti e, soprattutto, tirare a lucido il pavimento. Queste disposizioni igieniche quanto mai vessatorie fornivano facilmente il pretesto per maltrattamenti e punizioni draconiane. (..continua)</div><br />
<b>Storia del campo</b>Il campo di Dachau era destinato in origine ad accogliere circa seimila prigionieri, ma arrivò a contenerne un numero esorbitante, infatti i soldati che lo liberarono contarono 31.432 persone, più altre 36.246 presenti nei vari sottocampi e distaccamenti; non si conoscono, però, né il numero di quelli che prima dell'arrivo degli alleati furono smistati con marce forzate verso Mauthausen e Buchenwald, né il numero preciso dei morti di questo lager, cui si attribuisce il triste primato di durata, circa dodici anni, e di insopportabilità del regime di detenzione. Comunque l’anagrafe del campo ha registrato circa 45.000 decessi, ma questa cifra è di certo irrisoria di fronte a quella realtà così tragica. Qualche settimana dopo l'ascesa al potere di Hitler, il 21 marzo del 1933 sul giornale "Muenchner Neuesten Nachrichten" apparve questa notizia: "Mercoledì, 22 marzo 1933, verrà aperto nelle vicinanze di Dachau, il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo tedesco e secondo il suo desiderio. Heinrich Himmler -Presidente della Polizia della città di Monaco-"<br />
<div style="text-align: justify;">Così, presso una vecchia fabbrica di munizioni, costruita durante la prima guerra mondiale e situata in una zona piuttosto paludosa, dal clima nebbioso e umido, il "Terzo Reich" istituì il primo campo di concentramento con lo scopo di "rieducare" i detenuti alle idee naziste. Quando le SS assunsero il controllo del campo di concentramento di Dachau, Theodor Eicke, secondo comandante del campo, mise a punto un sistema di controllo e di dominio sul lager da parte delle SS che sarebbe servito da modello per tutti i campi di concentramento fino al termine della guerra. Il “modello Dachau” servì ad affermare il ruolo dei campi come strumento permanente di terrore politico e a rafforzare la forte rivendicazione di potere da parte delle SS. Nei primi anni della dittatura fu il più grande e il più noto dei campi di concentramento, e il suo nome divenne ben presto sinonimo di paura e terrore in tutta la Germania: dal 1933 al 1939 nel campo di Dachau furono rinchiusi gli oppositori tedeschi del nazismo: comunisti, socialdemocratici, sindacalisti, Testimoni di Geova, giornalisti e religiosi che non approvavano le idee naziste, ma anche ebrei. Durissime fin dall’inizio, le condizioni di vita dei detenuti peggiorarono ulteriormente a partire dal 1936: i maltrattamenti da parte delle guardie SS aumentarono e venne sistematizzato lo sfruttamento della forza lavoro dei prigionieri. Nel 1937 iniziarono i lavori di ampliamento del Lager, destinato a contenere migliaia di uomini per lo più addetti a lavori inutili di grande fatica. Con l’inizio del conflitto (settembre 1939) le condizioni di vita dei detenuti peggiorarono radicalmente. Il primo forno crematorio fu installato nel 1940 e da quel momento nel lager cominciarono ad essere eliminati in massa i detenuti “indesiderati” (ebrei, polacchi, prigionieri di guerra sovietici e persone inabili al lavoro). Le azioni omicide raggiunsero il culmine dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica nel 1941; inoltre nelle baracche del Revier (infermeria) fu aperta una sezione dove i medici della Luftwaffe utilizzarono i detenuti del campo di concentramento come cavie per esperimenti medici che, si sapeva, avrebbero causato inaudite sofferenze e anche la morte. Durante l'estate e l'autunno del 1944 in tutta la Germania meridionale, sotto l'amministrazione del complesso di Dachau, vennero creati dei sottocampi vicino alle fabbriche di armamenti con lo scopo di incrementare la produzione bellica. Soltanto nei pressi di Dachau stesso esistevano trenta grandi campi satellite dove più di 30.000 prigionieri furono impiegati quasi esclusivamente nella produzione di materiale bellico. Migliaia di loro morirono per le condizioni disumane in cui furono costretti a lavorare. Molti venivano riportati indietro, stipati nei blocchi dell’infermeria e successivamente uccisi per mezzo di iniezioni o deportati nei campi di sterminio. Nel 1942 la fame e il sempre più diffuso terrore esercitato dalle SS peggiorarono drasticamente le condizioni di vita dei detenuti provocando un drammatico aumento della mortalità. Fino al 1942 le nazionalità maggiormente rappresentate nel campo di concentramento di Dachau erano quella polacca, quella tedesca e quella cèca. Durante l’estate del 1942 iniziarono ad arrivare numerosi detenuti sovietici e jugoslavi, e a partire dal 1943 aumentarono anche le presenze di francesi, olandesi, belgi e italiani. Dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, nell’estate del 1944 la Gestapo sgombrò i campi allestiti in Francia, Belgio e Olanda e ne trasferì i detenuti a Dachau e in altri campi di concentramento del Reich. Vi furono internati, inoltre, anche abitanti di Varsavia, oppositori tedeschi, ebrei ungheresi e lituani (questi ultimi nei campi esterni di Kaufering e Mühldorf). Tra i deportati c’erano anche dei bambini e, a partire dall’estate del 1944, anche delle donne, che furono inviate nei campi esterni. Le condizioni di vita dei vari gruppi di detenuti dipendevano dalla loro posizione nella scala gerarchica stabilita dalle SS. “In alto” si trovavano i detenuti tedeschi,“in basso” i detenuti ebrei, sovietici e italiani, le cui possibilità di sopravvivenza non fecero che diminuire. Nella seconda metà della guerra, l’economia tedesca iniziò a dipendere sempre di più dal lavoro forzato anche dei detenuti dei campi di concentramento. Considerata la sempre maggior carenza di operai nell’industria bellica, a partire dal 1942 le SS iniziarono a sfruttare la forza lavoro dei detenuti in modo sempre più intensivo e sistematico. Aziende come la BMW, la Messerschmitt o la Zeppelin iniziarono a “noleggiare” detenuti e a sistemarli in campi esterni appositamente allestiti nelle vicinanze delle fabbriche. Il campo di concentramento di Dachau diventò un centro di raccolta e di distribuzione che provvedeva al rifornimento di nuovi schiavi e al rimpiazzo dei detenuti che non erano più in grado di lavorare. Nel 1944 il numero dei detenuti a Dachau e nei suoi campi esterni salì rapidamente a causa delle deportazioni di massa dai Paesi occupati, ma soprattutto per l’arrivo di 40.000 ebrei provenienti dai campi situati all’Est. La stragrande maggioranza dei circa 100.000 detenuti che giunsero a Dachau tra il 1944 e il 1945 venne impiegata nei suoi campi esterni. Le condizioni di vita e di sopravvivenza nei singoli campi differivano notevolmente da caso a caso. Il campo principale (Stammlager) diventò così sempre di più un centro di smistamento: i detenuti abili al lavoro venivano trasferiti nei campi esterni, mentre i malati e i moribondi venivano riportati indietro e uccisi o abbandonati al loro destino. Il regime, inoltre, utilizzò sempre più spesso il lager di Dachau come luogo di esecuzioni. Diverse centinaia di combattenti appartenenti ai movimenti di resistenza e di avversari politici vennero portati a Dachau solo per essere eliminati. Nonostante tutto ciò, i detenuti seppero dar vita a strutture di mutua assistenza, di autoaffermazione culturale e perfino di resistenza. Alla fine del 1944 la situazione dei più di 60.000 detenuti del campo di concentramento di Dachau peggiorò in modo drammatico: le catastrofiche condizioni igieniche e le sempre più scarse razioni alimentari provocarono lo scoppio di un’epidemia di tifo nel campo principale che fece più di 15.000 vittime. Molte altre migliaia di detenuti morirono inoltre nel corso delle “marce della morte” cui vennero costretti dalle SS nell’aprile del 1945. Per impedire che poco prima della fine della guerra le SS potessero compiere ulteriori azioni di liquidazione, i rappresentanti dei vari gruppi nazionali diedero clandestinamente vita a un comitato direttivo internazionale, che a partire dal 29 aprile del 1945, giorno in cui arrivarono gli americani, si incaricò anche di organizzare la vita nel lager e di assicurare la sopravvivenza dei detenuti.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dyawJW4813rZbXYyC81onUPosb3K4eP1Shtr7422LtbldZPKIQ_lphCzkVhA1w9nhbCPHcepH5STFA-OhbUCw' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-68201775006130438722010-10-19T10:36:00.000-07:002010-10-19T10:38:32.449-07:00Opere trafugate dai nazistiOn line le opere trafugate dai nazisti<br />
Dai grandi maestri impressionisti a Marc Chagall.Gratuito ed accessibile a tutti l'elenco di oltre 20 mila capolavori di proprietà di ebrei e rubati dai nazisti.<br />
Opere trafugate<br />
Ci sono anche decine di opere di maestri impressionisti come Claude Monet o espressionisti come Martc Chagall. Una organizzazione americana, la Claims Conference, ha messo online un registro di circa 20 mila opere rubate agli ebrei dai nazisti, la meta' delle quali non sono state ancora restituite. Il sito (www.errproject.org/jeudepaume), che pubblica alcune foto delle opere, e' gratuito ed accessibile a tutti, come indicano i promotori del progetto, la Conference on Jewish Mayterial Claims Against Germany, promosso in collaborazione con il Museo dell'Olocausto di Washington. Come ha spiegato alla France Presse uno dei commissari del progetto, lo storico Marc Mazurovsky, si e' trattato di un lavoro colossale, iniziato nel 2005. Migliaia di schede dell'Err (Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg), l'agenzia incaricata del furto istituzionalizzato delle opere d'arte in mano agli ebrei tra il 1940 e il 1944, sono state scannerizzate ed esaminate. I documenti si trovano negli Usa, in Germania e in Francia e le opere in questione appartenevano essenzialmente a ebrei francesi e belgi ed erano state raccolte al Museo del Jeu de Paume a Parigi. Con l'archivio online e' ora possibile localizzare opere scomparse da decenni ed agevolarne il recupero da parte degli eredi. ''Decenni dopo il piu' grande saccheggio della storia dell'umanita' - scrive sul sito il presidente della Conference, Julius Berman - le famiglie rapinate possono ora consultare il registro che li aiutera' a localizzare questi tesori persi da molto tempo''. Berman aggiunge che ''e' ora responsabilita' dei musei, degli antiquari e delle case d'aste verificare che cosa possiedono per determinare se hanno opere d'arte rubate alle vittime dell'Olocausto''. Una delle caratteristiche del sito e' quella di offrire una descrizione precisa e dettagliata delle opere in questione - quadri ma anche mobili, vasi e sculture - permettendo cosi' una verifica precisa sui legittimi proprietari, anche perche' molti eredi delle vittime potrebbero non averne saputo niente.<br />
(da Rai.it)19.10.2010Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-38370444073890057952010-01-02T17:38:00.000-08:002011-10-01T15:55:26.819-07:00MOMENTI della MEMORIA<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKDH2tF7FIFzpHHHD5sQZ4XFJjZwFS7Fq9ZVuo25FRYWvgbsmkq-PH20hfiUUR90BJADg_Ka5e9sP4tztb6698tG3LpkHi_u3csoLzVL1iF02FmFvFBuPwDeE5Yy65Ob_FDUcufCo1Gfw/s1600-h/y1pi46-Un_SLMarXB8Xif_wS7fVA7x6LXgJ-J6N3wWnSNL75rnw0ivfvRWExfXz9CO6SI15Gwd4IXg.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5422323469790328002" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKDH2tF7FIFzpHHHD5sQZ4XFJjZwFS7Fq9ZVuo25FRYWvgbsmkq-PH20hfiUUR90BJADg_Ka5e9sP4tztb6698tG3LpkHi_u3csoLzVL1iF02FmFvFBuPwDeE5Yy65Ob_FDUcufCo1Gfw/s320/y1pi46-Un_SLMarXB8Xif_wS7fVA7x6LXgJ-J6N3wWnSNL75rnw0ivfvRWExfXz9CO6SI15Gwd4IXg.jpg" style="float: left; height: 240px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 320px;" /></a><br />
Data: mercoledì 27 gennaio 2010 <br />
Ora: 11.00 -<br />
Liceo Scientifico"Mariano IV d'Arborea" Oristano <br />
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Ha ormai dieci anni la Giornata della Memoria, istituita dal Parlamento italiano, che ha così aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio giorno dedicato a ricordare le vittime della Shoah e in onore di tutti coloro che, rischiando la propria vita, hanno protetto i perseguitati. Il 27 gennaio 1945 le truppe della Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, raggiunsero il campo di concentramento di Auschwitz, liberandone i pochi superstiti. Però, secondo lo spirito della legge, questa giornata non deve essere solo un evento commemorativo, ma anche e soprattutto un evento culturale e didattico che valga come monito alle future generazioni. Il Liceo Scientifico Statale “Mariano IV d'Arborea” perciò parteciperà attivamente alla celebrazione della giornata con i “<strong>MOMENTI DELLA MEMORIA”. </strong>Il dovere della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati politici, in particolare Bartolomeo Meloni, e militari italiani nei campi nazisti: un percorso rivolto in particolare ai giovani, che costituisca un momento di riflessione duraturo sui problemi civili ed etici connessi alla Shoah e ancora oggi, purtroppo, drammaticamente attuali. La memoria della Shoah come occasione per riflettere anche su altri genocidi, come strumento per riflettere sui diritti di tutti, un impegno contro tutte le violazioni dei diritti umani. <br />
Son questi gli scopi che si prefiggono alcune attività di sensibilizzazione che saranno proposte agli studenti e a coloro che vorranno aderire: <br />
<strong>MOMENTI DELLA MEMORIA - 27 gennaio – ore 11.00<br />
letture, musiche e video per ricordare la Shoah, momenti di riflessione per ripercorrere pagine di storia, lanciare messaggi valoriali, promuovere un impegno concreto.</strong><br />
Si potrà collaborare all'evento con la preparazione di cartelloni e disegni. Alcuni alunni hanno raccolto i ricordi dei nonni sulla guerra, sulla deportazione. Chi vorrà partecipare a questa ricerca e offrire il proprio contributo, sarà il benvenuto.<br />
La docente referente: Rita Arca - Il Dirigente Scolastico Prof. Luigi Roselli<br />
<div style="background: rgb(235, 244, 249); font-size: 12px; margin: 15px 0px; padding: 15px;"><a href="http://www.mobilitanti.it/dettaglio/110275/giorno_della_memoria_per_non_dimenticare" target="_blank"><br />
<img src="http://www.mobilitanti.it/imagesfe/memoria_cartolina2320_ico.jpg" /></a> Giorno della memoria: per non dimenticare<br />
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<table class="contentpaneopen"><tbody>
<tr><td class="contentheading" width="100%"><strong><span style="color: #741b47;">Itinerari della memoria - I luoghi della libertà</span></strong></td><td align="right" class="buttonheading" width="100%"><a href="http://iveser.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=211" target="_blank" title="PDF"><strong><span style="color: #741b47;"></span></strong></a></td><td align="right" class="buttonheading" width="100%"><a href="http://iveser.it/index2.php?option=com_content&task=view&id=211&pop=1&page=0&Itemid=14" target="_blank" title="Stampa"><strong><span style="color: #741b47;"></span></strong></a></td><td align="right" class="buttonheading" width="100%"><a href="http://iveser.it/index2.php?option=com_content&task=emailform&id=211&itemid=14" target="_blank" title="E-mail"><strong><span style="color: #741b47;"></span></strong></a></td></tr>
</tbody></table><table class="contentpaneopen"><tbody>
<tr><td colspan="2" valign="top"><i><strong><span style="color: #741b47;">Itinerari educativi sui luoghi della memoria e della storia a Venezia</span></strong></i><br />
<a href="http://iveser.it/index.php?option=com_content&task=view&id=211&Itemid=14">http://iveser.it/index.php?option=com_content&task=view&id=211&Itemid=14</a> (foto con Marco Borghi,30 marzo 2010)<br />
</td></tr>
</tbody></table></div>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-65842771559543033262009-12-07T03:45:00.000-08:002009-12-07T03:49:15.975-08:00Studente austriaco scova ex SS ricercatoSfuggito anche ai «segugi» del Centro Wiesenthal. Trovato sull'elenco telefonico. <br />Studente austriaco scova ex SS ricercato<br />Uno dei massacratori di Deutsch Schützen, scampato alla cattura, ha vissuto 60 anni come ferroviere<br />(Corriere della sera,18.11.09)Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3099167760502141823.post-48808947487112831692009-11-20T14:34:00.000-08:002009-11-20T14:37:54.220-08:00<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggiu3ZgxXNb2TGGi_Rvvk7U9w9EIWtoU6PF7XW5CETC7DFlp6-u-g_8V9v6aPE3uIqsw85M8R48v9ohUx-fyNT0vvvicpgJSRWmzQBy9FRRVay7iIOXZpDbgYq1PnXeg_hKn_LNp9v9Pc/s1600/429104125_a1f292c33d.jpg"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; FLOAT: left; HEIGHT: 213px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5406318496451772546" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggiu3ZgxXNb2TGGi_Rvvk7U9w9EIWtoU6PF7XW5CETC7DFlp6-u-g_8V9v6aPE3uIqsw85M8R48v9ohUx-fyNT0vvvicpgJSRWmzQBy9FRRVay7iIOXZpDbgYq1PnXeg_hKn_LNp9v9Pc/s320/429104125_a1f292c33d.jpg" /></a><br /><div>Da L’Unione Sarda 11 agosto 2006<br /><a name="All’Asinara sulle tracce dell’esercito dei dannati">All’Asinara sulle tracce dell’esercito dei dannati</a><br />Reportage di Carlo Figari<br />Asinara. Una mandria di cinghiali affettuosi come cagnolini accoglie i turisti appena sbarcati dal traghetto al molo di Fornelli, la porta meridionale dell’Asinara alle 10, sotto il sole d’agosto,arrivano le barche a vela e i gommoni dei charter In pochi minuti l’imbarcadero si affolla di gitanti che prendono d’assalto il chiosco delle bibite e si scatenano con le prime foto ai cinghialetti e al mare la favola. Di fronte si notano subito i muri dell’ex supercarcere che ospitò i boss mafiosi negli anni Novanta. Le giovani guide faticano a raccogliere i gruppi, finalmente si parte per visitare l’isola degli asinelli, nel secolo scorso Cayenna d’Italia, oggi parco naturale con grandi speranze turistiche. I gruppi se ne vanno alla ricerca delle spiagge lasciandosi dietro il forte prigione ormai chiuso e abbandonato dal Ministero. Proprio qui, su questo molo ora silenzioso e deserto, novant’anni fa vennero sbarcati i primi soldati austro-ungarici colpiti dal colera di un esercito di prigionieri ridotti alla stremo dalla fame e dalle malattie. Erano 25-30 mila, almeno ottomila morirono di colera e tifo nell’isola. I superstiti dopo sei mesi vennero trasferiti in Francia. Una storia dai risvolti terrificanti, forse per questo dimenticata. I turisti tirano dritto. A nessuno interessano i ruderi di un campo di prigionia quando hanno davanti uno dei panorami più belli del Mediterraneo. Sulle guide poche righe, nei libri di storia neppure un accenno. Ne parlano una tesi di laurea del 1947, qualche articolo di giornale e un paio di saggi. Tutti citano la stessa fonte: la relazione del generale Giuseppe Carmine Ferrari, all’epoca comandante del presidio dell’Asinara. Un volume del 1929, ingiallito e quasi introvabile. «I documenti sulla vicenda custoditi nell’archivio dell’Esercito a Roma sarebbero spariti», afferma il ricercatore cagliaritano Alberto Monteverde esperto della Prima guerra mondiale e della Brigata Sassari, cercava gli originali della relazione del generale. «Ho trovato le cartelle, ma erano vuote. Nessuno ha saputo dirmi dove siano finiti». C’è anche una contro storia scritta nei 1961 dal capitano Giuseppe Agnelli di Lodi: ufficiale di commissariato fu testimone diretto. Dalle sue pagine esce un quadro infernale delle condizioni del campo con i soldati che vivevano in condizioni inumane, spesso bastonati e lasciati morire per le malattie. Ma questa versione, che contrasta con le fonti sinora note e sull’immagine di un generoso impegno italiano per salvare quella massa di disgraziati è ancora tutta da verificare.<br />La storia comincia il 18 dicembre del 1915, giornata che si può immaginare ben diversa dai 32 gradi, di oggi. Il freddo e il maestrale d’inverno qui sono padroni assoluti. Nella rada davanti a Cala Reale gettarono la fonda i piroscafi Dante Alighieri e America con cinquemila prigionieri. Dalle navi, con i barconi a remi, iniziò il lento e faticoso traghettamento di quei disperati che di uomini avevano solo le sembianze. Era solo la prima ondata di migliaia di soldati che da lì ai primi di gennaio si riverseranno sull’Asinara, col più grande ponte navale nella storia della Marina italiana. Erano i superstiti della “marcia della morte”, un esercito sconfitto dai serbi sul fronte austriaco e deportato lungo i Balcani. Settantamila partirono da Nich, in 30 mila giunsero al porto di Valona, in Albania, dopo aver camminato senza cibo tra la neve per 77 giorni.. Per loro, affamati, stremati dalle malattie e dalle botte, coperti di stracci e divise a brandelli, la salvezza si chiamava Italia. .Quando sbarcarono a Cala Reale non sapevano neppure di essere arrivati all’Asinara, isola sperduta al nord della Sardegna, ma almeno c’era la speranza di sopravvivere. Nel giro di un paio di settimane il ponte navale si completò e l’Asinara, sino a quel giorno popolata solo da un migliaio di prigionieri catturati nell’agosto precedente e da 350 militari italiani, si ritrovò affollata da trentamila superstiti di un’ armata multietnica e multilingue. Ungheresi, austriaci, boemi, croati, c’era rappresentato tutto l’impero asburgico allo sbando. Un caos indescrivibile,mentre dalle navi sbarcavano i colerosi. «Nei primi giorni morivano a centinaia - racconta Alberto Monteverde: - venivano gettati in mare terrorizzando i pescatori di Stintino e Porto Torres. Nella terraferma giravano voci che agghiacciavano la popolazione e così il prefetto di Sassari ordinò all’Esercito di fermare subito le operazioni. Mentre si annunciava l’arrivo di altre navi cariche di disperati, il generale Giuseppe Carmine Ferrari, comandante del presidio dell’Asinara, organizzò nell’isola un piano di accoglienza mai visto all’epoca e che anche oggi, con i mezzi e la tecnologia moderna, sarebbe difficile realizzare in tempi così rapidi». E tutto riportato minuziosamente nella relazione del generale Ferrari. «Nell’isola - sottolinea la storica Carla Ferrante dell’Archivio di Stato - si trovavano già da tempo una piccola stazione contumaciale per i malati, un ospedale con trenta letti, una foresteria con uffici e magazzini, una direzione sanitaria, quattro baracche, alcuni fabbricati e un forno crematorio. Ma certo non era preparata ad accogliere migliaia di prigionieri in gran parte colpiti da colera e gravissime malattie. Mancava tutto: acqua, luce, scorte alimentari e medicine». Ferrari e i suoi uomini realizzarono in un paio di settimane sei campi: a Fornelli per accogliere i colerosi, Cala Reale, Cala d’Oliva, Stretti, Campo Perdu e infine a Tumbarino. Seguendo le mappe del generale Ferrari è possibile vedere i resti di ciascun campo, nell’itinerario non previsto dai tour organizzati sembra di rivedere la massa di quei dannati aggirarsi tra le tende. Qui a Fornelli i morti di colera furono sepolti a migliaia nelle fosse comuni in riva al mare.<br />La mattina dei 18 dicembre 1915 i primi .prigionieri dell’esercito austro-ungarico sbarcarono all’Asinara al molo di Cala Reale. «Alcuni erano nudi, altri coperti di indumenti stracciati, altri con panni dati dai marinai di bordo, la maggior parte scalzi. Erano molto depressi, di più erano affamati cosicché si racconta che quando qualcuno mangiava il pane, i compagni raccoglievano le briciole. Si racconta che molti cercavano il nutrimento tra le immondizie e quando un compagno era morto lo lasciavano là vicino per prendersi la sua razione. Appena uno di loro manifestava i sintomi del colera, veniva spogliato delle poche cose». Sono le parole del generale Pietro Marini, comandante del Corpo d’armata di Roma e responsabile in capo dell’operazione di salvataggio dei trentamila prigionieri austro-ungarici che la Serbia aveva passato agli alleati italiani. Con un’imponente ponte navale, soprattutto per l’epoca, la Marina italiana con venti viaggi e una decina di unità. trasportò da Valona alla Sardegna i superstiti della marcia della morte. Da 70 mila si erano ridotti a meno della metà e molti durante il viaggio erano rimasti colpiti dal colera.<br />L'arrivo. «All’Asinara si era venuti a conoscenza di questa gigantesca operazione» racconta Pierpaolo Congiatu: «proprio mentre arrivavano i primi piroscafi con cinquemila uomini, affamati e malati, non solo di. colera ma di ogni malattia che quei fisici ridotti a scheletri avevano contratto durante i due mesi della marcia tra i monti coperti di neve dei Balcani. l’isola non era preparata ad accogliere una massa cosi imponente, eppure a tempo di record fu trasformata in un gigantesco accampamento». Pierpaolo Congiatu, ingegnere e responsabile dei servizi tecnici del nuovo parco dell’Asinara, da anni si interessa con passione della Storia della Cayenna d’Italia. Documenti, fotografie, memorie, ma anche - grazie. alla sua specializzazione tecnica cerca di ritrovare le tracce sul terreno degli eventi che si sono succeduti dal 1885 ai primi anni Novanta. Per un secolo la stupenda isola degli asinelli ha ospitato prigionieri di ogni nazionalità e genere: dagli anarchici dell’Ottocento ai boss mafiosi rinchiusi nel supercarcere di Fornelli. Tra il dicembre del 1915 e il luglio del 1916 accolse tra 25 e trentamila prigionieri dell’armata austro-ungarica sconfitta dai serbi sul fronte dei Balcani e consegnati all’Italia durante la ritirata da Nisch a Valona.<br />Dimenticati. Una pagina quasi sconosciuta e ormai dimenticata. Ma non da Congiatu che con le mappe del tempo e i pochi documenti disponibili tenta faticosamente di ricostruire. E’ un itinerario, da Fornelli a Cala d’Oliva sull’altro capo dell’isola, che tocca i sei campi realizzati per accogliere quella torma di disperati. «Certo, i turisti che arrivano ogni giorno a centinaia non si fermano qui per ascoltare una storia lontana e per loro probabilmente poco interessante.. Ma per noi è importante recuperare ogni tassello di questa vicenda che ha visto l’Italia, appena entrata nella Prima guerra mondiale, compiere uno sforzo gigantesco per salvare la vita a migliaia di soldati che morivano ogni giorno di fame e di colera. Fu una missione umanitaria eccezionale per l’epoca, se si pensa all’impegno bellico che si stava affrontando sul fronte alpino»<br />Museo. Obiettivo di Congiatu, che trova d’accordo il nuovo direttore del parco Carlo Forteleoni di aprire nei locali restaurati del Palazzo dell’amministrazione un piccolo museo della storia dell’Asinara . «Una sala sarà dedicata interamente a questa tragica vicenda con i reperti che stiamo raccogliendo - dice - lapidi, epigrafi, statue, e sculture fatte dai prigionieri, pochissimi oggetti ritrovati a cui si potranno aggiungere foto, filmati e video per illustrare quegli otto mesi in cui l’isola si trasformò in un’autentica Babele. Arrivarono uomini dell’esercito austro-ungarico provenienti dall’impero asburgico in disfacimento: con austriaci e ungheresi migliaia di croati, boemi, slovacchi, rumeni, russi e bulgari». Non è un caso che l’ingegnere col gusto della storia si occupi di tutto questo. «Sono di Porto Torres - spiega - e sin da bambino restavo affascinato dalle storie che i grandi raccontavano. L’Asinara era una sorta di isola mitica, popolata da animali esotici, pesci rari, dove potevano accadere i fatti più fantastici. E tutti ci credevano. In più mia madre è stata per diversi anni maestra nell’isola e grazie anche a lei ho cominciato ad appassionarmi». Quando si è affacciata l’opportunità di un lavoro nel nascente parco nazionale è stato quasi naturale occuparsi di quei racconti che sentivo da bambino dalle favole alla storia<br />Il diario. Esiste un raro documento che ricostruisce passo passo con militare pignoleria la tragedia di 90 anni fa. E’ il diario del generale Giuseppe Carmine Ferrari, all’epoca comandante del Presidio dell’Asinara. «Fu lui ad organizzare le operazioni di accoglienza e a tempo di record. Dalle sue pagine. emerge la cronaca quotidiana degli arrivi, dei decessi, delle enormi difficoltà per curare i colerosi, per assistere i moribondi, ma soprattutto per dare vestiti, cibo, coperte e almeno una tenda a quelle. migliaia di disperati che continuavano a sbarcare come un fiume inarrestabile»,dice Congiatu. Per far fronte all’emergenza ci fu una vera mobilitazione: medici e personale sanitario furono inviati da Cagliari e Sassari, ingenti quantità di farina, riso e viveri nonostante la penuria dell’economia. di guerra dai magazzini di Porto Torres. Per vestire quella massa di soldati seminudi e scalzi spedirono berretti, giubbe, scarpe e pezze da piedi, ma anche il necessario per l’accampamento tende, stuoie, coperte, paglia, gavette, forni, attrezzi da lavoro e persino strumenti musicali. Dopo otto mesi i quindicimila superstiti, in gran parte. ristabilitisi saranno imbarcati su tre navi e trasportati a Tolone per essere consegnati all’esercito francese. Nell’agosto del 1916 l’Asinara era di nuovo deserta, i campi con gli ospedali, le tende e le baracche, smontati o abbandonati. Cosa è rimasto oggi?<br />Fornelli. «Qui a Fornelli - riprende il filo Congiatu - furono subito portati i malati di colera». A mezzo chilometro dal molo dove oggi approdano i traghetti con i turisti, sono ancora in piedi i ruderi del cimitero con al centro una misteriosa cappella. Quando e da chi fu costruita? Nessuno ha saputo dare una spiegazione. Sicuramente dai prigionieri, ma l’architettura lascia stupiti. «Aveva una cupola come una piccola moschea, le finestre sono moresche, ma l’interno con capitelli e muri dipinti sono di stile diverso», dice l’ingegnere: «Nella sagrestia si nota un lastrone di marmo. Non è un altare. ma il tavolo per le necroscopie: si notano i fori per far scolare il sangue». All’interno del recinto sono state trovate centinaia di tombe, le ossa raccolte e portate all’ossario dei caduti costruito negli anni Trenta davanti a Campu Perdu. «Ma ce ne sono tante altre. Anche in riva, dove i cadaveri dei colerosi venivano sepolti nelle fosse comuni. Per anni il mare ha scavato le tombe scoprendo gli scheletri». Il diario del generale Ferrari annota puntigliosamente i morti del giorno: a centinaia in dicembre e gennaio, poi si riducono a 20, 30 a febbraio, ad aprile il colera è sconfitto. Il virus era esploso a bordo delle navi, probabilmente contratto durante la terribile marcia nei Balcani. I primi cadaveri vennero gettati in mare e i malati lasciati a bordo, nel frattempo che a terra si costruivano gli ospedali e le fosse. Poi si isolarono nel campo di Fornelli. Dopo gli arrivi di dicembre, le navi continuarono senza sosta il ponte con l’Albania. I prigionieri giungevano a ondate di migliaia. Nell’isola mancava tutto, ma Ferrari, riuscì ad ottenere il necessario. «Pensate solo all’acqua per dissetare tanta gente» dice l’ingegnere «Furono scavati pozzi e costruiti serbatoi vicino ai moli dove potevano approdare le navi cisterna. I primi cinquemila vennero accolti a Cala Reale dove già esistevano alcune strutture ospedaliere e baracche, poi vennero realizzati i campi a Cala d’Oliva, Stretti, Campu Perdu, a Fornelli per i colerosi e infine a Tumbarino. Ovunque si notano oggi ruderi degli ospedali i forni crematori, i basamenti di pietra su cui erano montate le tende, i cippi funerari ». Il più desolato è il cimitero degli italiani militari e civili morti tra le due guerre, sepolti anche bambini di un anno, croci di legno abbattute, lapidi frantumate, il muro cadente. Il generale tenne una contabilità quotidiana, ma era impossibile conoscere il numero esatto degli sbarcati di quelli che morivano nell’indifferenza degli stessi compagni. Verso febbraio la vita nei campi cominciò a normalizzarsi, i prigionieri curati e sfamati come possibile con gallette, carne in scatola e minestre, poterono lentamente ristabilirsi. Molti cominciarono a lavorare come contadini, artigiani, scalpellini, giardinieri. Tra loro c’erano numerosi artisti che costruirono cappelle, monumenti funebri e statue. In un’iscrizione a Tumbarino si legge ancora: «Grazie all’Italia nostra salvatrice». Quando l’ultimo convoglio si apprestava a salpare verso la Francia, da bordo della nave Seine, i 1200 prigionieri si tolsero i berretti e salutarono gridando più volte «Viva l’Italia ».<br />L'Asinara. L’epigrafe dedicata al generale Ferrari non si può vedere. Devastata dal tempo e ritrovata in mezzo agli arbusti ora è custodita in un magazzino in attesa di un restauro e di una collocazione. L’avevano scritta i prigionieri austriaci per ringraziare il comandante dell’Asinara poco prima di lasciare l’isola per essere trasferiti in Francia. Nell’inverno del 1916 il paradiso dei turisti di oggi era diventato nel volgere di un paio di settimane, un girone dantesco. Un vero inferno in cui si ritrovarono reclusi per otto mesi trentamila prigionieri dell’esercito austro-ungarico. C’è un documento, praticamente sconosciuto di un ufficiale di Lodi che fu testimone di quella tragedia. Nel racconto lasciato dal capitano di Commissariato Giuseppe Agnelli emerge un quadro ben diverso da quello descritto dal generale Giuseppe Carmine Ferrari. Agnelli fu inviato all’Asinara per contribuire alla missione di soccorso. La sua testimonianza, pubblicata nel 1919 sul giornale socialista l’Avanti! subito dopo la fine della guerra, fu criticata e poi censurata perchè ribaltava l’immagine positiva degli italiani che avevano sconfitto il colera e salvato migliaia di uomini. Agnelli ormai anziano, ci riprovò nel 1961 con un saggio di memorie ritrovato da uno studioso trentino. Il suo racconto è terrificante: i militari italiani furono spietati lo stesso Ferrari diceva «senza reticenze che il bastone era il vocabolario col quale dovevasi discorrere con i prigionieri». Arrivarono qui a ondate da Valona, con un gigantesco ponte navale messo in atto dalla Marina militare italiana. Affamati, ridotti a scheletri, seminudi e scalzi, la maggior parte stremata da ogni genere di malattie. A centinaia colpiti dal colera morivano sulle navi prima ancora di essere sbarcati, gli altri finirono. nel campo-lazzaretto che fu costruito in pochi giorni nell’area di Fornelli, tra la riva e il supercarcere dove sino agli anni Novanta furono rinchiusi i boss mafiosi e i terroristi.<br />Missione umanitaria. La prima nave, guarda caso si chiamava Dante Alighieri, spuntò davanti alla rada di Cala Reale il 18 dicembre 1915. Nel giro di pochi giorni sbarcò una marea umana sull’isola sino a quel momento praticamente deserta. Secondo il minuzioso diario del generale Carmine Giuseppe Ferrari, che organizzò l’accoglienza, la costruzione di otto campi con tende e ospedali il trasporto di viveri, medicine e di ogni necessità, fu possibile salvare quindicimila di quei 25-30 mila disperati. A leggere le pagine della sua relazione fu un’impresa umanitaria eccezionale per quei tempi, che sarebbe stata difficile realizzare anche oggi. A testimonianza i ringraziamenti dei superstiti poco prima di partire per la Francia e alcuni monumenti lasciati nell’Asinara.<br />Monumenti. A Campu Perdu c’era una statua celebrativa scolpita dal prigioniero ungherese Georg Vemess, un’autentica opera d’arte. Spuntava tra la macchia mediterranea sino a una decina di anni fa poi nel passaggio dall’amministrazione penitenziaria all’Ente parco sembra scomparsa. Rappresentava (si vede in una vecchia foto) un eroe e nel basamento una folla di uomini nudi e disperati. «Questa statua era intitolata “Il lungo viaggio”» racconta il professor Laszlo Lorinczi, ungherese studioso da tempo trapiantato in Sardegna: «Da, un lato l'artista voleva rivelare al mondo le atroci sofferenze che i suoi connazionali avevano subito durante la terribile marcia nei Balcani, dall’altra il trionfo della speranza, della solidarietà dei popoli e della vita. Insomma, un ringraziamento agli italiani che avevano salvato e curato i sopravvissuti dei 70 mila che avevano marciato per due mesi da Nisch a Valona». L’anziano professore ha un sogno: «Non so che fine abbia fatto quella statua, ma vorrei che venisse realizzato un nuovo monumento a forma di stele con i simboli della nostra nazione per ricordare gli otto, novemila ungheresi morti all’Asinara».<br />I campi. La strada di cemento che da Fornelli porta a Cala Reale si snoda tra un paesaggio da sogno nel parco nazionale. Novant’anni fa per otto mesi l’Asinara si ritrovò sommersa da questi trentamila prigionieri (impossibile stabilire la cifra esatta). Sulla collina di Stretti, dove furono sistemati due campi, cresce ancora la cipolla canina. E’ una sorta di peyote sardo: dicono che in piccole dosi dia euforia, ma basta mangiarne un paio per morire tra atroci dolori. «Quei poveretti, vinti dalla fame, cercavano ogni cosa commestibile: molti, che avevano raccolto le cipolle velenose, morirono su questa collina» ricorda Pierpaolo Congiatu, studioso delle storia dell’Asinara. Congiatu mostra i ruderi di Tumbarino: si notano bene i circoli di pietra su cui venivano montate le tende, i muri dove c’era l’ospedale, il molo dove approdavano i barconi e vicino alla riva anche il serbatoio per raccogliere l’acqua che veniva scaricata dalle navi-cisterna (nell’isola non c’erano pozzi e l’approvvigionamento era uno dei problemi prioritari). Qui a Tumbarino negli anni del supercarcere isolavano i pedofili e i detenuti pericolosi. Da lontano nel silenzio si sentivano le loro urla. I prigionieri austriaci, superata l’emergenza colera, vestiti e alimentati come possibile, dal marzo in poi cominciarono a ristabilirsi. Molti lavoravano nei campi e con il bestiame, altri facevano gli operai e gli artigiani, a centinaia furono inviati in Sardegna per occupare i vuoti lasciati dagli uomini partiti per il fronte. Tracce del loro passaggio a Ussana, lglesias, Sinnai, nelle miniere di Montevecchio e del Sulcis.<br />Artisti. In quella Babele di lingue e culture c’erano numerosi musicisti e artisti. Hanno costruito cimiteri, cappelle, monumenti funebri. A Tumbarino, girando tra i ruderi dell’ex campo, si scopre il basamento scolpito con un impressionante bassorilievo. La statua è scomparsa, anche questa, ma la scultura mostra le figurine di quei disperati. Ma chi erano i prigionieri?<br />Cannibalismo. Racconta il capitano Agnelli: «Rappresentavano l’avanzo di ben 70 mila uomini dell’esercito austro-ungarico che nel 1914, all’inizio della guerra contro la Serbia, erano stati catturati. Nell’autunno del 1915 in seguito all’offensiva del formidabile esercito tedesco, i serbi furono costretti alla ritirata trascinandosi dietro la massa dei prigionieri austriaci. Fu una vera odissea a piedi tra i monti innevati dei Balcani. Per settanta giorni vagarono senza un piano preciso, morendo a migliaia di stenti e percosse». «Ci furono persino casi di cannibalismo», racconta in una lettera uno dei superstiti. «Siffatto era il terrore che dominava la famelica turba fuggente e così forte era l'istinto di sopravvivenza che neppure amici e parenti si fermavano a soccorrere chi si lasciava andare sfinito. Si nutrirono di erbacce, topi, ogni qualità di rettili abbruciacchiati e divorati con voracità felina» scrisse con il linguaggio dell’epoca il capitano Agnelli raccogliendo - sostiene -le testimonianze dei sopravvissuti.<br />Colera. In gran parte in preda alla dissenteria e ridotti a pelle e ossa arrivarono a Valona in trentamila. Nel porto albanese scoppiò il colera. I prigionieri dovevano essere consegnati alla Francia, ma la notizia dell’epidemia consigliò i governi alleati di frenare il contagio chiedendo aiuto all’Italia. Così si decise di trasportarli all’Asinara considerata il Lazzaretto del Mediterraneo. Durante il tragitto in nave continuavano a morire tra atroci dolori. I cadaveri venivano gettati a centinaia in mare, qualcuno fu rinvenuto sulla costa di Alghero o finì nelle reti dei pescatori sardi. L’Asinara era praticamente deserta e mancava di tutto. Agnelli ricorderà per tutta la vita il maestrale che soffiava senza tregua impedendo alle navi di portare viveri e soccorsi. In queste condizioni per la completa assenza di cure, anche rudimentali le vittime furono centinaia al giorno «Sì che, non appena furono assestati in maniera soddisfacente i campi» sottolinea il capitano «i prigionieri si erano ridotti a ventimila» I cadaveri venivano sepolti nelle fosse comuni e accatastati vicino alla spiaggia in attesa dell’inumazione. Unico cibo gallette e scatole di carne, solo dopo un mese si vide la carne fresca e il brodo, il pane, che si preparava a Porto Torres, quando c’era maestrale finiva ad ammuffire nei magazzini. I medici italiani lasciarono ai loro colleghi austriaci il compito di assistere i colerosi,mancavano le medicine per le cure usavano limoni e aranci. Ai Fornelli non si faceva in tempo a scavare le fosse comuni. I prigionieri si impossessavano dei vestiti dei morti e preferivano tenersi vicini per giorni i cadaveri pur di prendere la loro razioni. «Non c’era niente, in compenso abbondava il bastone. I carabinieri sorvegliavano coi randello in mano e a ogni minima infrazione alla disciplina erano legnate sulla testa e sulle spalle». Agnelli vide «infinite scene di bestiale violenza e ufficialetti troppo ligi che per dimostrare la loro energia facevano legare al palo i disgraziati colpevoli di voler saziare la loro fame». Solo il ritrovamento di altri documenti e futuri studi potranno stabilire come andarono gli eventi. Oggi restano i ruderi di una storia dimenticata.<br />Da L'Unione Sarda 11 Agosto 2006</div>Rita Arcahttp://www.blogger.com/profile/07895145465711679733noreply@blogger.com0